Aggiornato il 26 maggio 2021.

Questo articolo è stato revisionato e aggiornato il 26 maggio 2021.

Sull’immigrazone e intelligenza rispettosa: idee, pensieri ed esperienze. E due lezioni di profonda fede in sé stessi.

 

Provengo dall’Est, dall’unica oasi di latinità alla frontiera dell’Europa: Romania. Terra di Dracula. Dacia Felix.

L’unica via che conduce al progresso è l’educazione.

Howard Gardner

Era settembre 2001 quando ho scelto di dare una sterzata alla mia vita. Avevo l’età in cui i giovani finiscono l’università, specialistica inclusa, e stanno maturando i primi anni di esperienza lavorativa.

 

Io, invece, a quell’età – avevo da pochi mesi compiuto 27 anni – ho scelto di rieducarmi alla crescita.

 

Il mio arrivo in Italia è stato come un terremoto ad altissima intensità. Le strutture del mio Essere sono crollate e al loro posto ho iniziato a ricostruire: nuova lingua e nuova cultura, nuovo pensiero e nuovo comportamento.

 

Una rieducazione della mia educazione.

 

Sì, sono (ri)partito da zero. Da un nulla profondo, doloroso, faticoso. Umano, per prima, ma anche sociale, professionale e relazionale.

 

Ho imparato a pensare, parlare e agire in una nuova lingua. A distanza di molti anni dal mio arrivo nel Bel Paese, ho acquisito un accento particolare che non mi colloca né in terra italica, né, più, nel mio paese di origine.

 

Ho arricchito la mia educazione formale aggiungendo al percorso scolastico intrapreso in Romania un’indimenticabile esperienza di studio in una delle migliori università italiane: l’Università di Trento.

 

Ho rinunciato quasi senza accorgermene a certe abitudini sociali, lavorative e culinarie e allo stesso tempo ne ho introdotte di nuove.

 

Dalla Romania, sono partito con l’idea di tornare dopo un certo numero di anni, cinque per esattezza. Quella di tornare nel proprio Paese era un’idea abbastanza diffusa tra i giovani che lasciavano la Romania in cerca di esperienze lavorative che migliorassero quello che all’epoca rappresentava un tenore di vita tra i più bassi dell’Europa di inizio terzo millennio.

 

Un’idea, quella del tornare dopo alcuni anni all’estero, peraltro trasformata in realtà da alcuni miei amici.

 

Io, invece, ho percorso altre vie, viuzze e vialoni dell’immigrazione. Sono stati percorsi scanditi da sfide e profondi cambiamenti, dalla costante volontà di integrarmi e di evolvere sul piano personale e professionale. Fino a raggiungere una totale fusione culturale.

 

Multiculturalità, eredità di famiglia

Dopo i primi due anni di immigrazione trascorsi in Sicilia, tra Canicattì e Caltanissetta, dall’autunno del 2003 abito nel Trentino, questo angolo verde del Bel Paese incastonato tra le maestose Dolomiti.

 

Trento e il Trentino sono un po’ cultura mediterranea e un po’ cultura mitteleuropea, un unico miscuglio socioculturale con cui sono subito entrato in sintonia. Credo sia un posto ideale per le anime multiculturali.

 

Manca l’orizzonte, ma questa è un’altra storia. In compenso, le imponenti montagne, le stesse che nascondono troppo presto il sole pomeridiano, regalano una forte sensazione di protezione. Sei al riparo, qui!, paiono dirti, sei al sicuro, nulla ti può succedere.

 

E il verde di cui le montagne si dipingono in primavera va dritto al cuore, per riempirlo di vita, di speranza, di rinascita. Mi ricorda i colori della mia terra di origine. Sono una straordinaria carica di vitalità di cui faccio abbondanti scorte ogni primavera.

 

Sono lontano dagli abituali punti di riferimento di una famiglia: i parenti. Ho doppia cittadinanza dal 2011, sono bilingue e multiculturale: penso, parlo e scrivo correntemente in inglese e francese, oltre che in rumeno, la mia madrelingua, e in italiano, la mia seconda madrelingua.

 

La multiculturalità è ormai un tratto di famiglia: anche i miei due splendidi juniors, Chiara e Marco, sono alle prese, quotidianamente e in diverse forme, con cinque culture: italiana (per nascita), britannica e francese (per studio e passione), bulgara (eredità materna) e rumena (eredità paterna).

 

Sono genitore single, per scelta. Dopo nove anni di matrimonio altalenante, ho deciso di porre fine alla sensazione di sfinimento che mi assediava: mi sentivo svuotato di energie, di entusiasmo, di idee.

 

Era come se stessi vivendo un’ininterrotta emorragia di energie vitali. Dopo diversi tentativi di salvare l’insalvabile, ho deciso che l’unico modo per riportare pace e serenità, entusiasmo ed energie nella mia vita fosse la separazione. Mi sono quindi trasferito in una nuova casa quando Chiara aveva poco più di otto anni e Marco, il fratellino, poco più di tre mesi.

 

Anche se abbiamo tenuto lontano i figli dalle incomprensioni quotidiane del nostro matrimonio, correvamo il rischio di danneggiare irreparabilmente non solo le nostre anime, ma anche, più drammaticamente, le loro spensierate infanzie.

 

Io mi sentivo inceppato, con il serbatoio di energie vuoto, in continua manutenzione straordinaria. Non andava bene.

 

Poche cose sono andate bene in questo matrimonio, purtroppo. Poche ci hanno realmente fatto crescere.

 

Non poteva continuare così. La contrapposizione dei nostri mondi e dei nostri ego non doveva intaccare l’infanzia dei nostri figli. Un pensiero fisso si fece spazio nella mia mente: ne bastava una, di infanzia sofferta, tormentata, infelice. La mia.

 

Ai miei figli dovevo, volevo e potevo fare spazio ad altro: a luce, speranza ed ottimismo. A coccole, affetto e amore. A serenità, entusiasmo e vitalità. Così desideravo fosse segnata la loro infanzia. Non da giornate infette da tormenti, tsunami emotivi, ghiaccio relazionale, chiusura e comunicazione a gocciole.

 

Nel rapporto che stavo vivendo non c’era più nulla a cui aggrapparsi: né bei ricordi insieme, né affetto, né progetti condivisi. Solo una grigia quotidianità che andava avanti per inerzia. Era terribile.

 

Terribilmente triste e terribilmente doloroso.

 

Dovevamo mostrarci ragionevoli e responsabili. Avevamo bisogno di ritrovarci. Insieme non ci stavamo riuscendo, malgrado i nostri sforzi.

 

Vedevo il mio secondo matrimonio andare in frantumi, nonostante i miei tanti sforzi di rimettere questo grande personale progetto di vita nella giusta luce, sui giusti binari. Ero amareggiato. Arrabbiato. Deluso.

 

I puntini sulle i

Era arrivato il momento di mettere i puntini sulle i. Di fare i conti con la cruda realtà.

 

Era giunto il momento di prendere di petto le mie paure, l’imbarazzo e i sensi di colpa che riempivano di veleno la mia mente e la mia anima. Sentivo un dolore soffocante, fisico ed emotivo. E come se non bastasse, non me la stavo passando bene neanche economicamente.

 

Tutto sembrava remare contro. Niente sole sui sentieri della mia vita. Solo nuvole, nebbia e freddo pungente.

 

Un unico pensiero riusciva a darmi forza: i miei juniors. Loro potevano e meritavano di avere due genitori sereni e amorevoli. Anche se questo significasse vivere in due case diverse.

 

La luce, la rinascita

Ebbene, ci stiamo riuscendo. Non è stato facile mettere da parte rancori, paure e il malessere accumulato negli anni di un matrimonio che ci aveva logorato. Per molto tempo in seguito alla nostra separazione, di fatto avvenuta nella primavera del 2018, abbiamo continuato – era palese – a smaltire i tormenti delle nostre anime.

 

Allo stesso tempo, è stato evidente che piano piano stavamo riconquistando la nostra tranquillità mentale e la nostra serenità emotiva.

 

Siamo diventati amici. Abbiamo nel frattempo seppellito gli ultimi cocci del passato  trascorso insieme e fatto riemergere quei rari bei ricordi vissuti insieme.

 

I graffi sull’anima che ci siamo procurati durante il nostro matrimonio sono ormai guariti. Semmai qualche scheggia impazzita riemergesse dal nostro passato, siamo pronti a limarla. Abbiamo imparato a farlo, per evitare di cadere in controproducenti battibecchi.

 

Guardando al tempo trascorso dalla nostra separazione, con la pace riaffiorita nelle nostre anime possiamo dire ad alta voce e con massima soddisfazione: “Ce l’abbiamo fatta!”

 

Siamo riusciti a ritrovare noi stessi. A diventare ciò che possiamo e meritiamo di essere: due adulti sereni, genitori amorevoli nei confronti dei nostri due splendidi juniors. Due esempi di inscalfibile resilienza.

 

Equilibrio perfetto

È ovvio: le nostre giornate sono molto più incasinate di prima. Corrono a grande velocità e a malapena riusciamo a starci dietro. Tuttavia, abbiamo instaurato e consolidato un perfetto equilibrio nella gestione condivisa dei nostri juniors.

 

Siamo, oggi, amici affidabili l’uno per l’altra. Ci aiutiamo e ci sosteniamo reciprocamente. Ci consultiamo serenamente sulle decisioni che riguardano i nostri figli. Ci veniamo volentieri incontro, quando possiamo. E più delle volte facciamo in modo di poterci.

 

Le vite di entrambi si sono lentamente schiuse dopo la nostra separazione. Coltiviamo un rapporto di stima e fiducia reciproca. Ci diamo spesso una mano anche per faccende personali, quelle che non riguardano strettamente la gestione condivisa dei nostri juniors (tenuto conto che nella città in cui viviamo non abbiamo parenti né miei, né suoi; i più vicini, miei e suoi, sono … lontani più di 1500 km).

 

Abbiamo percorso un sentiero tortuoso, fatto di tante salite. È stato, sì, molto difficile, e le “battaglie” che abbiamo affrontato sono state soprattutto con noi stessi: con i nostri condizionamenti culturali, con la nostra zona di comfort, con i nostri pregiudizi e le nostre credenze. Con i nostri sensi di colpa. E soprattutto con le nostre paure.

 

Poteva andare diversamente?

Poteva andare diversamente? Forse sì, forse no. Io non lo so. C’è stato un preciso momento in cui ci siamo promessi di impegnarci a riconquistarci. In parte, ci siamo riusciti, per un po’. Per troppo poco, purtroppo. Poi abbiamo nuovamente perso la bussola. La cadenza. Abbiamo smarrito il ritmo.

 

Andavamo a velocità diverse. In direzioni diverse. I nostri non erano più tempi, ma contrattempi.

 

Non siamo più riusciti a sintonizzarci. Ci abbiamo provato. Non siamo riusciti a salvare il nostro matrimonio. Tuttavia, siamo riusciti a ritrovare noi stessi. E questa è stata una delle più grandi conquiste delle vita adulta e di questo altalenante percorso di immigrazione.

 

Siamo diventati genitori separati. Ma, ed è la cosa più importante, siamo ridiventati adulti sereni. In pace con noi stessi, con noi stessi di ieri e di oggi.

 

Genitori separati, sempre presenti

I nostri figli hanno compreso la situazione e vivono la loro infanzia serenamente sotto il cielo dell’amore genitoriale. Sanno che mamma e papà ci sono. Ci sono sempre.

 

Ci sono al loro fianco per sostenerli, quando ne hanno bisogno.

 

Ci sono dietro di loro per stimolarli e spronarli, quando ingenuamente pensano di non farcela.

 

Ci sono davanti a loro per guidarli e ispirarli.

 

Chiaro e Marco sanno che mamma e papà ci sono. Ci sono sempre. Anche se hanno deciso di vivere in case diverse.

 

Ora sono il papà che volevo essere: amorevole e … abbastanza buono. Nel frattempo ho anche sanato quell’oceano di amarezza che aveva invaso la mia anima. Per molto tempo, i tormenti del passato non mi hanno dato tregua. Il mio secondo matrimonio, anche il mio secondo matrimonio è, ahimé, naufragato.

 

Il primo è stato in età troppo giovane: avevo poco più di 18 anni quando, follemente innamorato, mi sposai per la prima volta nella Romania appena uscita dal buio comunista. Il secondo, lontano dal mio Paese di nascita, in età adulta, ma troppo poco matura.

 

Diventare allenatore discorsivo, che responsabilità

Quando ho assunto il nuovo RUOLO di allenatore discorsivo non volevo e non credevo che le cose potevano andare in questa direzione. Accade, però, che la vita stessa sembra a volte andare per vie, viuzze e vialoni imprevisti. Ponendoci di fronte a sfide ed esperienze che non immaginavamo prima. Uscirne degni e rimboccarsi le maniche non è facile. Ma è possibile. Ed è anche possibile diventare persone migliori di quelle che eravamo prima.

 

Non è facile, siamo d’accordo, ma le scelte che abbiamo di fronte agli inevitabili tsunami delle nostre esistenze sono due:

  • ci rimbocchiamo le maniche e iniziamo a riposizionarci di fronte a noi stessi e al Mondo, partendo da ciò che più ci definisce come esseri umani: le parole.

Oppure:

  • ci rimbocchiamo le maniche e iniziamo a riposizionarci di fronte a noi stessi e al Mondo partendo da ciò che più ci definisce come esseri umani, le parole.

Repetitia juvant!

 

Ho scelto di ripetere quest’ultimo paragrafo scartando volutamente altre possibili scelte che lascio alla tua personale immaginazione.

 

Il messaggio che auspico ti sia arrivato forte e chiaro è questo: possiamo, con le parole, portare inverno, nuvole e nebbia nelle nostre vite. Ma possiamo anche portare estate, ciel sereno e orizzonti limpidi.

 

A te e solo a te la scelta.

 

Questo è il messaggio che avrei voluto leggere nero su bianco. La lezione che avrei voluto imparare a 20 anni.

 

I nuovi ruoli di genitore single e allenatore discorsivo hanno profondamente segnato la mia vita negli ultimi anni. Mi hanno spinto a rivedere e rimodellare quelle strutture del mio Essere già profondamente mutate dal mio arrivo in Italia.

 

La profonda fede in sé stessi

Quando guardo indietro al percorso compiuto, alle vie, alle viuzze e ai vialoni che ho imboccato a volte con successo, altre volte con fatica, mi accorgo di quanti profondi cambiamenti ho affrontato, favorito e attuato a dimostrazione della immensa plasticità e capacità di adattamento delle nostre vite.

 

Chiaramente, le grandi sfide a cui sono andato incontro – l’intensa esperienza dell’immigrazione, prima, del secondo matrimonio e della genitorialità, in seguito – hanno in parte provocato questi cambiamenti.

 

Eppure, sono pienamente consapevole che senza l’incrollabile speranza in un futuro migliore, senza l’ardente desiderio di crescere, senza la forte motivazione di esplorare nuovo sapere tutto questo non sarebbe stato possibile.

 

Ed è proprio questo il secondo messaggio che vorrei ti arrivasse altrettanto chiaro e forte: nessuna avversità sarà mai in grado di abbatterti se la tua fede profonda sarà in te stesso, nell’incrollabile speranza in un futuro migliore, nell’ardente desiderio di evolvere, nell’inscalfibile volontà di esplorare.

 

E questo è il secondo messaggio che avrei voluto leggere nero su bianco. La seconda lezione che avrei voluto imparare a 20 anni.

 

Leggi anche:

Sull’immigrazione e intelligenza rispettosa (II)

Sull’immigrazione e intelligenza rispettosa (III)

 

Domande, curiosità?

 

Scrivimi a lucian@rhetofan.com.

 

PS: Questo articolo è apparso, singolarmente, per la prima volta il 5 dicembre 2016. A febbraio 2020, l’ho aggiornato e riproposto con lo stesso titolo ma in tre episodi. L’ho integrato e attualizzato a maggio 2021.