La paura ha una precisa funzione biologica: è lì, nella nostra testa, per aiutarci a proteggerci. Dai pericoli reali, non immaginari. L’orso incontrato su un sentiero in montagna, il leone che hai visto da vicino nella savana, il serpente velenoso, i tuoni, la tempesta. In situazioni come queste la paura ti può salvare la vita. La paura del rifiuto, invece, no.

Noi diventiamo ciò che siamo solo col radicale e profondamente insito rifiuto di ciò che gli altri hanno fatto di noi.

Jean-Paul Sartre

Siamo evoluti, oggi, parliamo di industria e aziende 4.0, di intelligenza artificiale, di viaggi e viaggiatori spaziali. Abbiamo più conoscenze e più informazioni di tutte le generazioni passate messe insieme.

 

Le paure reali sono diminuite. Per contro, quelle immaginarie si sono moltiplicate. E non ci aiutano ad andare molto lontano. Le paure immaginarie non ti salvano la vita, non ti mettono al riparo, non ti fanno stare meglio e tanto meno vivere più a lungo. Anzi, ti imprigionano e ti fanno dire “Ciao, ne vedem!” ai tuoi obiettivi più ambiziosi, ai tuoi sogni più audaci, al tuo desiderio di miglioramento.

 

Prenderle di petto, le paure, e scacciarle è l’unico modo per andare avanti.

 

Eccole, le cinque paure paralizzanti, le più diffuse al mondo, tutte immaginarie: sono quelle che ci bloccano, ci succhiano le energie vitali e ci tirano il freno. Ci rovinano la vita.

Questo è il secondo di una serie di cinque articoli in cui affronto le cinque paure paralizzanti e come fare per sbarazzarcene. Tralascio le fobie e gli attacchi di panico o altri stati emotivi che necessitano l’intervento mirato di uno specialista.

 

La paura del rifiuto

Il rifiuto fa parte del gioco. Della vita, voglio dire. E fa male, ammetiamolo, molto male. Mente e cuore trafitti dal rigetto non è ciò che vogliamo incontrare sui sentieri della nostra esistenza. Ma è inevitabile. Anche se viviamo in un mondo a portata di click, interconnesso e multiculturale, il rifiuto è in agguato. O proprio per questo.

 

Il rifiuto indomato abbuia. Rattrista. Scoraggia. Indebolisce. Frantuma. Lasciarlo fare di “testa sua” è un rischio che non puoi permetterti. Se hai ricevuto un “No!” secco o velato, un “Non sei all’altezza!”, “Non ci piaci”, “Hai qualcosa che non va” esplicito o, più insidiosamente, implicito, la miglior risposta è “Chissenefrega!” Poi dacci dentro e vai avanti.

 

Ma se la paura del rifiuto ti ferma ancora prima del rifiuto stesso, allora è giunto il momento di far qualcosa. Ed è per questo che sei qui, nella Palestra delle Parole, perché ha deciso di trovare un antidoto alla tua paura del rifiuto.

 

Come fare

A dire il vero, di rimedi alla paura del rifiuto sgorga il web.

 

Io te ne voglio lasciare solo uno.

 

Una strategia pratica per prendere la paura del rifiuto di petto e mandarla dove deve stare: in soffitta.

 

L’unico rimedio che funziona davvero.

 

Incassa senza rincasare

Ha ricevuto un rifiuto? Incassa senza rincasare. Cercatene un altro. Crea una nuova occasione per riceverne uno. E un altro ancora. Più li cerchi, più ne ricevi, meglio è. Indaga: la parola magica è “Perché?” di quel rifiuto. Chiedilo al tuo interlocutore. Il “No!” iniziale potrebbe trasformarsi in uno sbalorditivo “Sì!”

 

Un giovanotto con in tasca il sogno di cambiare il mondo fini per stravolgere la sua vita e quella di molti altri. Un giorno di qualche anno fa se ne andò in cerca di ben cento rifiuti, uno al giorno, e scopri come diventare sereno collezionandone a pacchi. Si chiama Jia Jiang, è di origini cinesi e parla un impeccabile inglese. È autore del libro Rejection Proof tradotto in italiano con il titolo Più forte dei No e di questi quindici strepitosi minuti sul palco TED intitolati Cosa ho imparato da 100 giorni di rifiuti:

Cosa ci insegna l’esperienza di questo simpatico immigrato cinese?

 

Che anche le richieste le più bizzarre possono essere accolte quando sono esposte con parole efficaci, al momento e al posto giusto.

 

Che la paura del rifiuto è perfettamente e totalmente gestibile. Ci vuole coraggio, oh sì, questo sì. Il coraggio di decidere di non ignorarlo o respingerlo, il rifiuto.

 

E la determinazione di non rimuginarci sopra.

 

Infine, che il rifiuto, visto con gli occhiali giusti può rappresentare uno straordinario strumento di miglioramento personale.

 

E soprattutto: il rifiuto non ti definisce. La tua reazione al rifiuto ricevuto, invece, sì.

 

A proposito: J. K. Rowling, l’autrice dell’amatissimo Harry Potter fu rifiutata ben 12 volte prima di pubblicare il suo primo volume. Walt Disney fu licenziato da un giornale perché non era abbastanza creativo. Stephen King, Ernest Hemingway o Vladimir Nabokov non se la passarono molto meglio: dovettero fare i conti con molte porte in faccia prima di trovarne una aperta. Per dire.

 

A presto,

 

Lucian

 

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