L’eloquenza è una pittura del pensiero.
Blaise Pascal
In questo articolo vorrei parlarti di geometria.
Scherzo, non è di geometria che voglio parlarti, ma dalla geometria prenderò in prestito una parola: triangolo. È quella che trovi nel titolo che ho dato all’articolo di oggi. A lettura finita acquisterà anche per te un nuovo significato.
Guardare le interazioni verbali da una prospettiva triangolare apre nuove finestre di senso per la comunicazione interpersonale, quella efficace, che conta.
La parola in questione – TRIANGOLO – ci aiuterà a:
- “guardare” alla comunicazione umana da una prospettiva … triangolare
- scoprire come la retorica può aiutarci a parlare meglio, parlando meno

L’aiutino della parola presa in prestito dalla geometria è fondamentale. “Triangolo” insieme a
- Comunicazione
- Retorica
- Parlare meglio
costituiscono quello che possiamo chiamare un cocktail di parole chiave. Consumato … senza parsimonia può aiutarti a prendere maggiore consapevolezza sul tuo comportamento discorsivo. E allenare e migliorare le tue capacità argomentative. Come sta bene a chi ha deciso di frequentare la Palestra delle Parole efficaci.
Continua con la lettura, ci sono tre storielle, tre frangenti di vita quotidiana che vorrei raccontarti. In due sono stato testimone diretto, nella terza, invece, protagonista, insieme a mia figlia.
La prima storiella.
Contesto: una spiaggia soleggiata del sud Italia. Passeggiata solitaria. In riva al mar cristallino, orario merenda pomeridiana. A un certo punto, sento alle mie spalle una voce femminile. Alterata. Aggressiva.
Dice: Sei un cretino di prima classe!
Giro la testa. Sono sorpreso. E curioso. Vedo la voce femminile: una giovane mamma che si rivolgeva con queste parole al figlio che aveva sui 5 anni, giorno più, giorno meno 😉 Tra parentesi: sono papà di una bambina di 8 anni, ho l’occhio allenato. Chiusa la parentesi. Non ho potuto fare a meno di lanciare alla mamma uno sguardo sorpresomachestaiadi’ e al figliolo uno consolatoriononfarcicaso. Riprendo la mia passeggiata. Discorsivamente stupito. E preoccupato. Quelle parole hanno bruciato il candore infantile. E rimarranno impresse per sempre. Nel cuore e nella testa di quel bambino. I danni di quelle sprovvedute parole non tarderanno. Si faranno vedere sotto forma di insidiosi condizionamenti nei rapporti di quel bambino con se stesso, con i suoi genitori, con il mondo. Via diretta e a senso unico verso la sottostima: discorsiva, emotiva, cognitiva.
La seconda.
Contesto: stessa spiaggia soleggiata del sud Italia, stesso mare cristallino. Tardo pomeriggio di un bollente pomeriggio agostano. La mia ennesima passeggiata sul lungo mare cristallino. In compagnia di mia figlia. All’improvviso, poche parole e … grezze urtano violentemente le mie orecchie. Sono davvero taglienti. Spigolose. Sento una voce maschile.
Dice: Dammela … che sei stupida!…
Giro la testa. Il contesto mi chiarisce subito chi, che cosa, a chi e come dare. Con queste parole, un “signore” di venerabile età biologica, ma di limitato buonsenso discorsivo si rivolgeva così a una giovane neo madre, in braccio, un figliolo di due anni, giorno più, giorno meno. Nel tentativo, fallito, visto il risultato, di aiutare la neo mamma – con ogni probabilità sua figlia – di portarle la borsa da spiaggia. Obiettivo ultimo di questa particolare richiesta: alleggerire la neo mamma, probabile suo stretto parente, e lasciarla portare in braccio solo il figliolo, dalla spiaggia al parcheggio. Nobile gesto, nella sostanza. Pessimo, nella forma.
Guardo lui. Stupito. Lui non ci fa caso. Guardo lei, con lo stesso stupore. Nessuna reazione neanche da parte della figlia. Le non reazioni sono la prova della familiarità di un certo linguaggio. Privo di dignità discorsiva. A casa loro, evidentemente, i padri si rivolgevano così alle figlie. Quando volevano aiutarle. Mannaggia lui, il parlar forbito …
Infine, la terza. Protagonisti: mia figlia ed io. Entrambi, sostenitori, ognuno a modo suo, del parlare bene. Del parlar meglio e quando possibile meno.
Contesto: una Ford nera Station Wagon su un’autostrada del sud Italia, una domenica mattina. in viaggio, verso una spiaggia soleggiata. In riva al mar cristallino.
Mia figlia con voce suadente e sguardo birichino, di quelli che in pochi, padri e non, possono, riescono, osano resistervi.
Dice: Papà, mi fai giocare sul tuo smartphone?
Io, con la nonchalance di un papà che si sarebbe aspettato una certa domanda, in una certa splendida mattina agostana, in viaggio verso il mar cristallino.
Dico: Certo tesoro, in cambio di due tabelline.
Apriti cielo. Intuivo a cosa stessi per andare incontro. Mi ero appena timbrato il biglietto verso un … bel e buon dibattito. Di quelli che contano, per me e per lei.
Far ripetere le tabelline del “per” a una bambina di 8 anni, in vacanza, la domenica, in viaggio verso la spiaggia rovente in riva al mar cristallino è una vera sfida discorsiva. Da affrontare a testa alta e sangue freddo. Stai provocando una bufera di sguardi che vanno dal gelido al glaciale, passando per severo e minaccioso. Per niente camuffati. Anzi, rafforzati a … chiare lettere.
Dice: Tu non sei il mio papà. Il mio papà non mi risponde così. Tu non mi vuoi bene. Lo dico alla mamma!
Chi è genitore di figlie di 8 anni sa di che cosa sto parlando. Anche i genitori di figli di 8 anni lo sanno. Riescono, e meno male, a mettere in campo una serie di strategie atte a guadagnare punti e posizioni discorsive nel confronto con il genitore. Capiscono intuitivamente che c’è almeno una possibilità per farti sentire in colpa, e se la giocano a meraviglia. A volte vincono. Altre, no.
Grande sfida discorsiva, quindi. Mia figlia, che a pan’ e Retorica ci cresce l’aveva ben capito. E non intendeva mollare facilmente. Non intendeva darmela per vinta. Dovevo lottare, retoricamente parlando, per guadagnarmi la vittoria. Per il gusto del confronto discorsivo, al meno. Per il gusto della persuasione, la mia. Per il gusto della dissuasione, la sua.
Dicevo: notevole sfida discorsiva. Di quelle che richiedono la messa in atto di alcune significative strategie discorsive e comportamentali.
Io:
- Autorevolezza
- Empatia
- Disponibilità
- Resilienza discorsiva
- Cura per l’autostima del bambino e bagaglio extralarge di parole valorizzanti
Mia figlia:
- Predisposizione all’ascolto
- Fiducia nell’adulto
- Fiducia in sé stessa
- Curiosità nell’affrontare un sano botta e risposta
- Predisposizione alla disciplina emotiva
Queste tre storie, ciascuna in maniera diversa ci portano alla scoperta del genere umano. Discorsivamente, parlando.
Come, lo vedremo nel prossimo post.
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Buona settimana, di sfide discorsive 😉
Lucian
Photo by Harli Marten on Unsplash e dall’archivio personale