Aggiornato il 7 luglio 2020.

Questo articolo è stato revisionato e aggiornato il 7 luglio 2020.

Perché si fa tanta fatica a credere alle cose belle mentre a quelle brutte ci si crede subito?

Nicola Carati in La meglio gioventù

Nell’articolo All’alba della vita non si può ricordare nulla, ma sperare tutto ho riportato un brano tratto dal Libro II della Retorica. Si tratta della parte in cui Aristotele descrive il carattere dei giovani.

 

I giovani dell’antica Grecia non sono tanto diversi da quelli di oggi, salvo per l’etichetta che viene loro attribuita. Il Maestro li chiama giovani e li vede animosi e pieni di speranza, di temperamento caldo e desiderosi di onori. Oggi, li chiamiamo Millennials o Generazione Y e li vediamo tecnologicamente dipendenti e difficile da gestire, impazienti e infelici.

 

Per inciso: stiamo parlando di un disastro socioculturale, una piaga demografica apparsa negli ultimi 20 anni del ventesimo secolo. Sono i nati tra un click e i primi touch, che la demografia colloca dopo la Generazione X, fino all’altro ieri la più sfigata, e prima della Generazione Z che sarà, con buone probabilità, ugualmente targata. Per un panorama sull’aria che tira tra le generazioni passate, presenti e future La 27esimaora di Corriere della Sera dedica questo pezzo, non recente, ma attuale.

 

Di recente, invece, è il putiferio scatenato nell’italico mondo virtuale a seguito della pubblicazione, peraltro a cura di un rispettato blogger che seguo da tempo, di una videointervista registrata a settembre 2016. Il video, sottotitolato in italiano, descrive accuratamente i giovanotti Millennials: una generazione – poverina! – sfortunata, narcisista, egoista, dispersiva, pigra, dopata di gratificazioni istantanee, medagliata di medaglie che non merita e con l’autostima di uno zerbino. Il video, c’è da dire, ha altamente surriscaldato la websfera, motivo per cui alcuni giornali hanno raddrizzato le orecchie e preso nota; qui, un esempio.

 

Mi sono messo le mani nei capelli. E mi sono chiesto: ma le cose stanno proprio così?

 

No, le cose non stanno proprio così con tutto il rispetto per il protagonista del video, Simon Sinek che conoscevo per via di questo apprezzato intervento alla TED, e per il blogger italiano che ha pubblicato il video.

No, le cose non stanno proprio così per tre motivi.

 

In primo luogo: se è vero che molti dei Millennials non hanno vita facile per un complesso insieme di fattori sociali e culturali, politici ed economici affermare che

Abbiamo una generazione che ha poca fiducia in sé stessa e non ha mezzi per affrontare lo stress

mi sembra un pelino azzardato. I Millennials hanno indiscutibilmente accesso all’informazione più di chiunque altro essere umano nella storia dell’umanità ed è vero che parecchia informazione presente in rete andrebbe definitivamente gettata alla prima pattumiera della storia. Tuttavia, non dimentichiamoci che su web possiamo trovare un’impressionante quantità di informazioni di altissima qualità, compresa quella per domare lo stress quotidiano e quella per rivalutare la fiducia in sé stessi. I link che trovi in questo articolo ne sono un perfetto esempio.

 

Cercare informazioni su web non è poi così lontano dal cercare un buon libro in una biblioteca. Richiede tempo, fatica e concentrazione. Anche il risultato, in fin dei conti, è identico: la gratificazione di aver messo le mani o, per meglio dire, gli occhi su qualcosa di buono, utile e istruttivo.

 

In secondo luogo: ci sono diversi dati che dimostrano che quella massa di

incapaci a raggiungere una vera gratificazione nel lavoro e nelle relazioni

(ma che cosa significa una “vera gratificazione”?!?), i nativi digitali come pure sono conosciuti i Millennials, non sono quel disastro sociale e culturale di cui sentiamo parlare. Sempre nel 2016, qualche mese prima dell’intervista rilasciata da Sinek, su The Guardian usciva un articolo a firma di Stephen Koukoulas, un autorevole economista australiano. Titolo? I Millennials dovrebbero smettere di frignare. Sono più istruiti e pagano meno interessi (mia traduzione). Dati alla mano, Koukoulas sostiene che i Millennials di oggi non stanno peggio dei loro genitori alla loro età. Anzi: sono più istruiti, hanno accesso a lavori meno duri e possono accedere a mutui con tassi inferiori a quelli pagati dai loro parenti. L’economista australiano si spinge oltre e predice: l’attuale Generazione Y vivrà meglio quando arriverà alla stessa età dei loro parenti. Ad animare il dibattito, ci fu poi un certo Osman Faruqi che contraddisse Kokoulas. Quest’ultimo non perse l’occasione di ribattere prontamente sul suo blog. Insomma, un botta e risposta che dà la misura di quanto attuale sia l’argomento in questione.

 

Ora, sul fatto che non è tutto oro quel che luccica siamo d’accordo ed è sempre The Guardian a fare il punto, anche sui Millennials italiani. Tuttavia, non mi pare che ci sia neanche tutta questa disperazione sociale e culturale tra i Millennials in giro per il mondo. Chi ha iniziato ad avere un accesso diffuso alla conoscenza? I Millennials. Chi ha iniziato a girare il mondo senza spendere una cifra? Giusto, i Millennials. Chi gironzola per l’Europa senza passaporto, ma solo con la carta d’identità e paga con la stessa moneta in 19 paesi diversi? I Millennials, risposta esatta. È poco? Forse. Ma rispetto alle generazioni prima è, decisamente, tanto.

 

In terzo luogo: per uno strano incidente della mia storia personale all’università ci sono andato insieme a loro, ai “pigroni” della Generazione Y, io che provengo dalla generazione prima, quella fino all’altro ieri ancora più sfigata: la Generazione X. Ho avuto il privilegio di conoscere tanti Millennials, e, no, non sono né narcisisti, né egoisti, né dispersivi e né difficili da gestire. Non più di quanto lo ero io alla loro età. Per quanto ho visto, cercano la felicità come noi, come i nostri genitori e come i genitori dei nostri genitori. E sempre come loro vogliono lavorare e portare a casa uno stipendio dignitoso. Amano impacciati come noi e come i nostri, prima. Costruiscono amicizie che alle volte perdono e poi ritrovano. Proprio come noi. E sanno che le interazioni della loro quotidianità hanno parti oscure, sono incasinate e crescono lentamente. In più, hanno uno spirito critico più acuto e sono più informati proprio perché le frontiere della conoscenza sono più liquide e l’accesso all’informazione più diffuso.

 

Sì, hanno un maledetto utilissimo smartphone in tasca. Che noi, alla loro età, non avevamo. Quello sgargiante aggeggio che teniamo in tasca è croce e delizia di chiunque vuole stare ai passi con i tempi e allo stesso tempo non farsi tecnologicamente assuefare. Simon, hai ragione a inca*%*ti con quelli che alla riunione tengono i telefonini sottomano, anzi sottocchio. Hai ragione anche a prendertela con i genitori troppo nerd che preferiscono i figlioli davanti a uno schermo piuttosto che tra i piedi. Ma i Millennials, nonostante tutto, sono anche quelli che sanno di più, che viaggiano di più e che hanno insegnato ai loro genitori la videoscrittura, come comprarsi un libro a mezzanotte e come pagare le bollette dopo l’ora di chiusura dello sportello bancario. Allora, quando è che hanno smesso di cercare l’informazione per dipendere dall’informazione?

 

Non è facile trovare una buona risposta. Non sono neanche certo che ne esista una corretta. In fondo, cerchiamo l’informazione e dipendiamo dall’informazione, nonostante tutto. In ogni caso, il mezzo, l’incriminato smartphone, non è sicuramente il problema. È l’uso che ne facciamo e su questo siamo d’accordo. Tuttavia, di uno smartphone, mannaggia lui!, sono io che decido cosa farmene: ca*%*are in rete, leggere, ascoltare musica, o semplicemente tenermelo buono in tasca e godermi il paesaggio umano che mi circonda. Non è lo smartphone in quanto oggetto, ma come, quando e perché lo usiamo. Servirebbe guardare un po’ indietro, ai consigli degli antichi greci, per riposizionare l’argomento nella giusta luce. Buon senso e la giusta misura, né troppo, né troppo poco, proprio come nell’uso delle parole.

 

Per quel che vedo c’è parecchia vita al di fuori di uno smartphone. E sempre per quel che vedo, ce ne sono anche molti Millennials ad accorgersene. D’accordo, non tutti, tanti. Eppure, noi, gli adulti di oggi, che dobbiamo essere la guida e i punti di riferimento delle nuove leve del mondo di domani che tipo di messaggio dobbiamo trasmettere alle nuove generazioni?

 

Prima di francobollare etichette sulle nuove leve del Mondo di Domani, non sarebbe meglio dare loro un messaggio positivo? Guardare al proverbiale mezzo pieno del bicchiere, quello più stimolante per cambiamenti durevoli. Per questo, però, ci vogliono parole efficaci, al momento e al posto giusto. Trovarle, come ce lo insegna questo dibattito, è faccenda complicata. Per grandi e piccini. Per maestri e discepoli.

 

Aristotele e la sua retorica, potrebbe tenderci una mano. Il meraviglioso viaggio che dal Chilometro 0 della Comunicazione ti porta alle vette della Crescita Personale, una seconda. Accogliamole.

 

Occhio che squilla, quell’aggeggio sgargiante in tasca. Ora che hai finito di leggere puoi rispondere 😉

 

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Foto di Elizabeth Hahn