Il vero dialogo è discussione e la discussione non è guerra o conflitto di opinioni, ma collaudo di idee.
Adelino Cattani
Alle GTR 18 – Giornate Tridentine della Retorica, XVIII edizione tenutesi presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento, la domanda era chiara: 60 anni dopo la “svolta argomentativa”, cosa è cambiato?

Un po’ meno, la, o meglio, le risposte. Durante le due giornate del Convegno alcuni studiosi di diverse scienze (filosofia, giurisprudenza, pedagogia) hanno cercato di fornire una loro risposta.
Nella seconda giornata del Convegno, è stata la volta del professor Adelino Cattani dell’Università di Padova, il pioniere del dibattito regolamentato in Italia. Il suo intervento, un percorso esplorativo: Dalla teoria dell’argomentazione alla pratica del dibattito.
Il ‘48 infiammò i popoli, il ’68 sollevò le piazze; nel 1958 alcuni studiosi di varie discipline diedero vita a quella che fu in seguito riconosciuta come la svolta retorica, operata da quelli che Cattani chiama ne La svolta argomentativa “Sei autori in cerca di un personaggio” :
CHAÏM PERELMAN: un logico pentito
LUCIE OLBRECHTS TYTECA: una psico-sociologa
STEPHEN TOULMIN: un filosofo analitico
NORWOOD RUSSELL HANSON: un epistemologo
MICHAEL POLANYI: un chimico fattosi filosofo
THOMAS KUHN: uno storico della scienza

In altre parole, alla svolta retorica si è giunti per vie diverse e ciò che resta del ’58 è, in estrema sintesi:
- una nuova concezione della retorica
- un diverso modello educativo
- una diversa idea di dibattito
La Retorica, ci ricorda il professor Cattani è “la facoltà di scoprire ciò che c’è di persuasivo in ogni discorso” e un “sistema di regole che garantisce il successo della persuasione” mettendo in luce da una parte il valore e dall’altra i rischi della Retorica.
Citando un breve passo de Gli strumenti della persuasione di Martino Beltrami il quale afferma che “la Retorica diventa strumento di prevaricazione e di inganno se non esiste una isegoria, cioè se esiste un evidente squilibrio di competenza e abilità argomentative tra gli attori dello scambio comunicativo, se manca una educazione retorica, una formazione soprattutto scolastica allo spirito critico”, il professor Cattani sottolinea che l’abilità della parola può arrecare danni ma può arrecare bene se una sufficiente abilità/libertà di parola si unisce ad una paritaria e sufficiente uguaglianza di libertà/abilità di parola.
Questa felice combinazione si può ottenere con una adeguata educazione al dibattito, introducendo cioè sulla scena del monologo un secondo personaggio che svolga il ruolo di interlocutore, antagonista, oppositore, come nella tradizione della disputa scolastica.
Con la svolta argomentativa del ’58 e dopo un lungo periodo di quiescenza, il dibattito torna a far parte dei sistemi educativi, in maniera più o meno diffusa e integrata, valida o maldestra.
Il fine pedagogico di una preparazione al dibattito, osserva il professor Cattani, è imparare a discutere. Obbligatorio per tutti, e non solo per i professionisti della comunicazione.
Insegnare a dibattere è, sì, un valore perché:
- Il dibattito, per quanto acceso, è sempre meglio del fanatismo e dell’intolleranza;
- Promuove almeno tre capacità: valutare, comunicare, relazionarsi;
- La libertà di dire e il coraggio di parlare vanno contemperati con la possibilità paritetica di esprimersi;
- La capacità di considerare il pro e il contro di ogni argomento non è schizofrenia, ma la condizione necessaria per una scelta ragionevole;
- Un dibattito non serve a convincere l’oppositore, ma consente ad una terza parte di giungere a più solide conclusioni.
ma, l’insegnare a dibattere, avverte il professor Cattani, può presentare anche alcuni limiti:
- “Scompagina la mente del soggetto in formazione”;
- Minaccia la “sana educazione ai valori inderogabili”;
- Il dibattere privilegia le condotte persuasive rispetto alla verità;
- “La retorica è agnostica: richiede più spirito di adattamento che senso di giustizia”;
- Privilegia la competizione e crea polarizzazione.
- Crea gente brillante, “risponditori a catena, che sanno sempre cosa dire e come mentire.
Il valore filosofico ovvero la verità in sé, il giusto in sé, e il valore sociale ovvero la verità in comunità, il giusto in comunità sono due valori che si possono contemperare con l’educazione discorsiva e l’educazione alla negoziazione.
Una parola sulla condotta da tenere durante un dibattito: il disputator cortese è
- Creativo e metodico
- Estroso e disciplinato
Non mi soffermo su che cosa sia il debate e sul perché in Italia non viene chiamato con il suo nome italiano dibattito, per l’appunto. In attesa di far luce su questo mistero riporto, per la cortese concessione del professor Cattani la slide con la definizione un po’ maldestra:

Concludo con le diverse possibili finalità del dibattito regolamentato, che non va inteso solo come strumento per qualificarsi alle Olimpiadi di dibattito, bensì come strumento di integrazione e di inclusione per:
- Formare ragionatori e “collaudatori di tesi”
- Allenarsi a “fare cose da grande”
- Promuovere il senso critico e le capacità logiche
- Esercitare le capacità dialettiche
- Educare alla socialità e alla cittadinanza.
Vale a dire un potente strumento per creare cittadini emancipati, dotati di spirito critico e senso democratico. Esattamente ciò che, a guardarsi attorno, manca spesso nelle interazioni quotidiane.
PS: Un sentito grazie agli organizzatori del GTR18 che mi hanno consentito di partecipare al secondo giorno del Convegno: il professor Maurizio Manzin, il professor Federico Puppo e la dottoressa Serena Tomasi del CERMEG Trento.
Foto dall’archivio personale