Essere plusdotato non significa essere più intelligente degli altri, bensì avere una diversa intelligenza.
Jeanne Siaud Facchin
Troppo intelligenti per essere felici non è un interrogativo, bensì un’affermazione e il titolo del libro di Jeanne Siaud Facchin tradotto dal francese e pubblicato nel 2016 dalla casa editrice Rizzoli.
L’autrice è una celebre psicologa francese fondatrice del Cogito’Z, con sede a Marsiglia, il primo centro di diagnosi e cura dei disturbi dell’apprendimento nei bambini e negli adolescenti. All’inizio esistevano altre due sedi a Parigi e ad Avignone, oggi ce ne sono altre, non solo in Francia, ma anche all’estero.
Il tema del libro e principale interesse di ricerca di Facchin è la plusdotazione intellettiva: una condizione quasi impossibile da diagnosticare, ma che riguarda in realtà un numero altissimo di persone. Sul piano discorsivo, queste persone non di rado affermano: “Ho talmente tante idee che mi passano per la testa …”; “Penso a così tante cose contemporaneamente che in certi momenti vado in confusione e perdo il filo”; “A volte la mia scatola cranica va in mille, si surriscalda al punto che ho paura che possa andare in tilt”.
La storia del termine plusdotazione è relativamente recente: è stato introdotto nel 1970 dallo psichiatra Julian de Ajuriaguerra (qui, un ritratto della vita privata e professionale in lingua francese) come equivalente dell’inglese highly gifted ed è diventato popolare in Francia grazie a Rémy Chauvin e al suo testo fondatore Les surdoués tradotto in italiano negli anni ‘70 con il titolo I superdotati. Tuttavia, anche se nella tradizione italiana si è a lungo utilizzato il termine superdotati, negli ultimi anni la letteratura specialistica si è orientata verso il termine plusdotati.
Facchin, però, chiama i plusdotati zebre un termine che ha scelto “per sgombrare il campo dalle rappresentazioni scomode; un animale più unico che raro, il solo equino che l’uomo non sia in grado di addomesticare, che nella savana si distingue nettamente grazie alle strisce che sfrutta per mimetizzarsi, che per vivere ha bisogno degli altri e si prende cura dei piccoli in modo particolare, che è al tempo stesso uguale e diverso.”
Il tema della plusdotazione ha acquisito un crescente interesse negli ultimi anni, interesse dovuto principalmente a due fattori:
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l’incremento di consulti psicologici nell’infanzia e adolescenza
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il diffondersi delle perizie psicologiche
Soprattutto queste ultime sono state un campanello di allarme per gli specialisti perché si è scoperto che i bambini con un elevato quoziente intellettivo tendono ad avere serie difficoltà scolastiche e a manifestare problemi psicologici gravi come i disturbi di comportamento e di socializzazione. Inoltre, c’è un crescente interesse per il tema della plusdotazione in ambito accademico ed educativo dove sono in continuo aumento le équipe di specialisti che si specializzano nella diagnosi e nella cura dei bambini plusdotati. Le strutture scolastiche, inoltre, tentano di mettere a punto soluzioni pedagogiche specifiche.
Se il termine plusdotazione suggerisce un qualcosa in più rispetto agli altri, in realtà chi ne è affetto è semplicemente diverso, una diversità che si esprime in una marcata sensibilità emotiva e cognitiva.
Che cosa succede nel cervello di un plusdotato e come si spiega il loro modo di vivere e di pensare? Secondo l’autrice, il sistema cognitivo di una persona ad alto potenziale cognitivo è così organizzato:
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cervello in continuo stato di iperattività, dotato di connessioni fulminee che si dispiegano simultaneamente in tutte le regioni: un brulichio neurale costante che incrementa il potenziale cognitivo, ma che diventa molto difficile da canalizzare
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ricettività sensoriale esacerbata: il plusdotato è in grado di elaborare e analizzare un maggior numero di dati della stragrande maggioranza di noi
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elaborazione arborescente delle informazioni con una ramificazione rapida di associazioni di idee che faticano a trovare una struttura; in pratica, l’elaborazione delle informazioni provenienti dall’esterno e dall’interno è simultanea, il che significa che ogni messaggio viene processato insieme a tutti gli altri
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deficit di inibizione latente: costringe il sistema cerebrale a integrare tutte le info provenienti dall’ambiente senza una selezione preliminare; in altre parole, il plusdotato trova tanto faticoso organizzare e strutturare il suo pensiero
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Il plusdotato è campo-dipendente: smarrito nel flusso vorticoso della sua percezione della realtà, è incapace di estrapolare l’essenziale perché non riesce a compiere le distinzioni necessarie a un’elaborazione rapida ed efficiente delle informazioni ricevute
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rendimento in base al contesto: il plusdotato lavora in modo efficiente solo se deve confrontarsi con un numero ristretto di informazioni: in un compito chiuso è rapido, concentrato ed efficiente, mentre in un compito aperto girandole di idee e informazioni si rincorrono a ritmi frenetici
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intelligenza intuitiva: il plusdotato pensa per immagini, il linguaggio, le parole e la struttura verbale non sono il suo punto forte
L’intelligenza del plusdotato è ricca e potente, ma, come abbiamo visto, si fonda su basi cognitive diverse. Per questo motivo, l’autrice cerca con questo libro di sfatare un mito diffuso tra gli studiosi e nell’opinione pubblica: la radicata convinzione che avere un alto potenziale cognitivo garantisca una sorta di vantaggio sugli altri quando invece esiste un rapporto stretto e sofferente tra l’alto potenziale cognitivo e la vulnerabilità psichica.
Riassumendo, i tratti specifici della personalità del plusdotato sono: ipersensibilità, costante ingerenza delle emozioni, ricettività sensoriale esacerbata, empatia in grado di captare le emozioni altrui, ipertrofia dei cinque sensi.
Essere plusdotato, alla luce delle ricerche di Facchin, non significa essere più intelligente degli altri, bensì avere una diversa intelligenza.
Foto: Maria Teresa Ambrosi
Una versione di questo articolo è stata pubblicata anche in inglese e italiano nel numero di giugno 2017 della rivista RicercAzione (pag. 128 – 130).