Invece di fondare la nostra filosofia su verità definitive e indiscutibili, partiremo dal fatto che gli uomini e il gruppo di uomini aderiscono a ogni specie di opinione con un’intensità variabile, che può esser conosciuta solo se messa alla prova. [ … ] Il senso comune oppone di regola i fatti alle teorie, le verità alle opinioni, ciò che è obiettivo a ciò che non lo è, segnalando quali opinioni si debbano preferire ad altre.
Chaϊm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca
L’antichità ritiene che sia Aristotele il fondatore della logica. Fu sempre lui a sistemare la retorica per poi consegnarla ai posteri sotto forma del più potente software del discorso. Capì di non andare da nessuna parte impuntandosi sulla ricerca del vero. Meglio ridimensionare e andare a piccoli passi alla ricerca del verosimile.
Due brevi racconti illustrano bene la difficoltà di dimostrare il vero, mentre diventa chiaro e retoricamente più saggio considerare verità ciò che si pensa sia il vero. Si arriva alla stessa destinazione, la conoscenza, ma per due vie diverse: una oggettiva, rigorosa e dimostrabile che offre certezza scientifica, interessa le scienze reali ed equivale al vero, l’altra soggettiva, liquida e umana che porta alla certezza retorica, interessa le scienze umane ed equivale al verosimile.
Vediamoli insieme.
Un astronomo, un fisico e un matematico sono in vacanza in Scozia. Girano il paese in treno, quando guardando dal finestrino vedono brucare una pecora nera in mezzo a un campo.
Che interessante, osserva l’astronomo, le pecore scozzesi sono nere.
Il fisico puntualizza: No, no! Alcune pecore in Scozia sono nere.
Il matematico guarda contrariato i due e dichiara: No. In Scozia esiste almeno un campo contenente almeno una pecora, che da almeno una parte è nera.
La logica, o a rigor del vero, la logica deduttiva che va dal generale al particolare funziona benone per il mondo delle idee. Il ragionamento induttivo, quello che procede dal particolare al generale, ci permette, invece, di progredire nel mondo delle cose. Al di fuori della scienza pura, siamo nel territorio del probabile e del verosimile, quello scientificamente meno rigoroso, ma retoricamente più interessante. È lì che si trova l’arena retorica in cui il locutore deve scendere per conquistare il consenso del proprio interlocutore.
Passiamo al secondo racconto.
Un uomo viene accusato di avere ucciso la moglie. Anche se il corpo non è mai stato trovato, tutte le prove convergono sull’imputato: il bagagliaio della sua auto pieno di martelli sporchi di sangue e brandelli di vestiario della moglie. Aveva un valido movente, come dimostra la liquidazione di una grossa polizza assicurativa sottoscritta alla vigilia della morte della donna. E subito dopo la denuncia della scomparsa della moglie è andato in vacanza alle Maldive con l’amante ventitreenne palestrata. Il profilo Facebook è pieno di sue foto in costume, con boccaglio e ghigno assassino.
Nonostante ciò, al processo il suo abile avvocato sfodera uno straordinario coup de théâtre. Dice:
Signore e Signori della giuria. L’accusa vi ha presentato una montagna di prove che tendono a dimostrare che il mio cliente sia colpevole. Ma queste prove non significano nulla. Poiché non solo il mio cliente non è colpevole dell’omicidio di sua moglie, ma invero nessun omicidio ha avuto luogo. La moglie del mio cliente è viva e vegeta. E posso provarlo. A mezzogiorno in punto, Signore e Signori della giuria, quella porta laggiù si spalancherà e la moglie del mio cliente entrerà in quest’aula.
Con un movimento enfatico del braccio indica la porta d’ingresso dell’aula.
Per i successivi cinque minuti gli occhi del presidente del tribunale, dei giurati e di ogni funzionario presente nell’aula rimasero incollati alla porta. Poi le pesanti lancette dell’orologio del tribunale scoccarono sulla mezza e … stupore: la porta rimase chiusa.
Be’? disse il giudice. Il miracolo che ha promesso NON si è verificato.
In effetti, no, rispose l’abile avvocato. Tuttavia, ognuno di voi ha fissato quella porta aspettandosi che la moglie dell’imputato arrivasse. In assenza di un cadavere, questa è certamente la dimostrazione oggettiva che resta un ragionevole dubbio sulla colpevolezza del mio cliente per quanto concerne la sparizione di sua moglie.
Molto bene disse il giudice. In ogni caso chiedo alla giuria di notare che l’unica persona nell’aula che non guardava la porta era il suo cliente.
Da nessuna parte in questa storia viene dimostrato qualcosa con il rigore logico. Tuttavia, prima l’avvocato e poi il giudice seminano il dubbio tra le file del pubblico scambiando il vero per il verosimile.
È una vittoria retorica di breve durata, quella dell’avvocato, sconfitto poi dalla scaltrezza del giudice. Entrambi argomentano le proprie posizioni nascondendo le premesse. La premessa nascosta nell’argomentazione dell’avvocato è che la donna sia viva. La premessa nascosta nella replica del giudice è la colpevolezza dell’accusato: non fissa la porta, sa che la donna non arriverà perché è morta.
Questi due racconti illustrano la forza dei ragionamenti fallaci che possono risultare persuasivi quando percorriamo le umane vie retoriche della nostra quotidianità.
Foto di Robert Linsdell