Il linguaggio ci offre una serie di innumerevoli possibilità e di variazioni per dire ciò che vogliamo dire.
Adelino Cattani

L’interazione tra locutore e interlocutore avviene in un ambiente verbale, paraverbale o non verbale, più spesso in tutti e tre, simultaneamente. Questi sono i tre livelli di espressione presenti, con un poderoso carico di significati sociali, in qualsiasi interazione comunicativa.

 

Quello che in tanti trascurano è che le interazioni avvengono in una minima parte sotto forma di informazioni racchiuse nei significati delle parole. La nostra immagine che proiettiamo nel mondo e nella nostra mente si costruisce e si plasma attraverso le parole che usiamo in funzione del contesto in cui ci troviamo. In altre parole, come e quando diciamo ciò che diciamo e non solo ciò che diciamo verbalmente.

 

Questo è un post dedicato al livello paraverbale. Ne seguirà un altro sul linguaggio del corpo o il non verbale.

 

Il livello paraverbale si riferisce a come diciamo ciò che diciamo. Sotto la responsabilità del Pathos, il primo de I Magnifici TRE, si accendono i riflettori sul tono, sulla velocità, sul timbro e sul volume della voce. Si tratta della punteggiatura dell’interazione comunicativa che ne segna la cadenza.

 

Ci sono significati socioculturali e comportamentali impliciti ed espliciti nelle interazioni discorsive. Sono racchiusi nei cosiddetti tratti prosodici che scoprirai di seguito. Tralasciando la terminologia che può sembrare criptica o troppo tecnica, afferra il significato con cui il paraverbale carica i nostri scambi verbali e presta, da ora in poi, maggiore attenzione a come dici ciò che dici a casa, a scuola, in azienda. E più in generale, nella vita.

  1. pronuncia: è l’abito della voce e come tale ha solo un’occasione per fare una buona prima impressione. Se la pronuncia è chiara tendiamo a considerare che anche il pensiero di chi parla lo è. Una pronuncia poco curata con parole troncate e frasi lasciate in sospeso può sviare l’attenzione dell’interlocutore dal significato delle parole e dal contenuto complessivo del messaggio
  2. tono: qui vale il principio quanto più sei calmo, tanto più sonora e grave sarà la tua voce. Per converso, quanto più sei agitato, tanto più risulterà acuta e stridula. Il tono della voce è un indicatore del livello di autorevolezza del parlante: tendiamo ad attribuire maggiore autorità a chi si esprime con voce calma
  3. volume: negli scambi comunicativi, la voce si smorza quando iniziamo a parlare di cose personali. Quanto più si tende a entrare nell’intimo, tanto più si abbassa la voce. All’opposto, più il locutore ci tiene alla sua causa, tanto più alzerà la voce, spesso inconsapevolmente. In genere: gli estroversi tendono a parlare a voce più alta degli introversi; un eloquio moderato e controllato testimonia una certa distinzione; ci sono convenzioni comportamentali che cambiano da luogo a luogo (nel bar si parla a voce più alta che in un ristorante elegante; per strada, più forte che in chiesa); il contesto culturale influisce sul volume della voce (i giapponesi privilegiano i toni bassi, i mediterranei sono noti per i loro toni vivaci)
  4. ritmo: eloquio rapido è sinonimo di agitazione, incostanza o eccessiva loquacità; ritmo lento, invece, di scarso impegno o eccessiva flemma, ambedue estremi che mettono in discussione la capacità di autocontrollo del parlante. Un ritmo spezzato suggerisce invece una scarsa dimestichezza degli argomenti affrontati. In genere, rallentiamo per dare più enfasi al discorso e acceleriamo per aumentarne l’intensità. Per non provocare al tuo interlocutore nausea acustica evita di impostare a ciò che dici un ritmo troppo uniforme
  5. accentuazione: un altro rischio è quello di noia uditiva a causa della scarsa accentuazione delle parole nel proprio discorso. La corretta accentuazione guida e orienta l’interlocutore tra le affermazioni del locutore
  6. intonazione: è la melodia della frase e serve a modulare il messaggio. Se, per esempio, alziamo il tono della voce al termine di una frase, capiamo subito che si tratta di una domanda; se, invece, l’abbassiamo l’interlocutore percepisce un’affermazione
  7. pause: come l’accentuazione e l’intonazione, servono per variare e rendere più attraente il flusso delle parole nell’interazione tra locutore e interlocutore. In genere, una pausa normale non dovrebbe superare più di 3-5 secondi
  8. interiezioni: “sai”, “beh”, “dai”, “insomma”, “mica”, “casomai”, “magari” sono dei passpartout discorsivi che inquinano il tuo discorso. Usali con parsimonia. Diversamente, inducono l’idea di una pigrizia discorsiva che non fa onore a un parlante discorsivamente allenato

Conoscere e valorizzare le tue risorse paraverbali è parte della tua cassetta degli attrezzi della comunicazione efficace.

 

Quindi, non solo parole per ascoltare e farsi ascoltare, ma anche una vasta rosa di risorse per muoverti abilmente tra i tre livelli dell’interazione comunicativa. E avere sempre ultima parola.

 

Difficile? Beh, sì, è difficile.

 

Accrescere la consapevolezza di come diciamo ciò che diciamo è un continuo lavoro di autoconoscenza, autoregolazione e autodisciplina discorsiva, emotiva e comportamentale.

 

Saper riposizionarsi, discorsivamente parlando, davanti a una platea, in un dibattito o nelle interazioni quotidiane, davanti a sé stessi, a un amico, a un parente o a una personalità pubblica è un obiettivo ambizioso, ma raggiungibile. Quando decidi di intraprendere quel meraviglioso viaggio che dal Chilometro 0 della Comunicazione ti porterà alle vette della Crescita Personale. Passando per la Palestra delle Parole, dove pratica, impegno e costanza ti aiuteranno a comunicare meglio ed essere più efficace.

 

Non è semplice. Non è facile. Tuttavia, un paio di millenni addietro, l’Umanità scoprì la retorica, un campo del sapere indispensabile per il miglioramento personale, la vita politica e civile. I pochi scelti che hanno accesso al suo studio dimostrano lo confermano. Essere bravi nell’uso delle parole richiede tempo, pratica, impegno e costanza. La vita di tutti i giorni anche. Così, chi usa bene le parole, parla meno. E vive meglio.

 

Foto di Ray Wewerka